Tra gli obiettivi generali che la recente riforma dello sport ha inteso perseguire vi è quello, solenne ed impegnativo, di “proteggere la salute e la sicurezza di coloro che partecipano ad attività sportive […]” (cfr. art. 3, co. 2, lett. c, D.Lgs. 36/2021). Le aree toccate dall’applicabilità del suddetto principio all’interno del contesto sportivo sono diverse: ad esempio (i) la stessa definizione di lavoratore e la disciplina prevenzionistica applicabile alle varie forme di prestazione di lavoro sportivo, (ii) la declinazione dei principali obblighi di sicurezza in tale ambito, (iii) le misure di garanzia della sicurezza degli impianti sportivi e le relative responsabilità, (iv) il contrasto alle molestie, alla violenza di genere e alle discriminazioni mediante l’adozione obbligatoria dei modelli di organizzazione e gestione, (v) i controlli sanitari e la sorveglianza sanitaria nello sport, o ancora (vi) la tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva.

Nonostante però i vari campi specifici d’indagine e di applicabilità, la stessa normativa, in una delle sue disposizioni principali (cfr. art. 33 D.Lgs. 36/2021), prevede che per tutto quanto non regolato dal decreto (ossia, in realtà, per gli aspetti più rilevanti della materia) “ai lavoratori sportivi si applicano le vigenti disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, in quanto compatibili con le modalità della prestazione sportiva”. Viene dunque operato, e nella pratica, un rinvio di fatto alla disciplina generale in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ed agli obblighi emergenti dalla reciproca interazione tra l’art. 2087 c.c. ed il D.Lgs. 81/2008. Questo rinvio ha sollevato, però, dei profili di critica, anche tutto sommato coerenti. Innanzitutto, è stato rilevato che la disciplina del D.lgs. 81/2008 è modellata sul contesto dell’impresa, peraltro di medio grandi dimensioni, e dunque mal si adatterebbe ad un ambito assai peculiare, quale quello delle prestazioni sportive. Inoltre, proprio perché l’applicazione della disciplina generale è subordinata ad un delicato giudizio di compatibilità con le modalità della prestazione sportiva, tale rinvio potrebbe aprire il campo ad incertezze e soggettivismi interpretativi in una materia tanto delicata e densa di implicazioni penalistiche, come quella della salute e sicurezza sul lavoro, con buona pace dei principi di legalità e determinatezza della fattispecie di reato che la dovrebbero governare. A tali problematiche si è, però, riscontrato ritenendo che le stesse potrebbero essere in parte ridimensionate qualora si tenesse conto che già l’obbligo di sicurezza in sé non è un obbligo dai confini fissi, bensì dal perimetro mobile, poiché si adatta alle caratteristiche della prestazione lavorativa e del contesto in cui la stessa viene resa, tenuto conto che l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare misure commisurate anche alla particolarità del lavoro ed il D.Lgs. 81/2008 fa discendere l’applicazione delle misure di prevenzione e protezione dalla preventiva valutazione dei rischi specifici connessi alla prestazione, al luogo di lavoro e alla persona del lavoratore. Ragionamento questo condivisibile ma forse insufficiente nel contesto in esame, ove si sente la necessità di una declinazione più specifica e concreta della figura dello sportivo in relazione al suo diritto alla salute ed alla sicurezza nello svolgimento della propria prestazione. Il dibattito, dunque, rimane più che aperto e quanto mai delicato.