Nel contesto dei rapporti di lavoro regolati dalla normativa delle tutele crescenti, un licenziamento intimato a fronte di un patto di prova nullo comporta esclusivamente l’obbligo di un’erogazione indennitaria. E’ esclusa, dunque, ogni possibilità di ricorso alla reintegrazione nell’impiego. Diversa, invece, è la situazione in cui il rapporto di lavoro ricada nella disciplina prevista dall’art. 18 dello St. Lav. poiché, in tali circostanze, se il licenziamento è associato ad un patto di prova nullo, la pronuncia di illegittimità del licenziamento implica l’ordine di reintegrazione nell’impiego. La Corte, nella sentenza in epigrafe, non ha fatto altro che sottolineare ancora una volta la predetta distinzione. Infatti, mentre nei licenziamenti disciplinati dal regime delle tutele crescenti la reintegrazione ha “carattere solo residuale”, nel riformato art. 18 questo rimedio, sebbene abbia subito una riduzione del suo peso, mantiene comunque un rilievo centrale. In entrambi i casi la decisione di porre fine al rapporto lavorativo da parte del datore di lavoro è, dunque, considerata come un cosiddetto licenziamento individuale ad nutum, ossia senza la necessità di giusta causa o giustificato motivo (sia soggettivo che oggettivo) o preavviso. Tuttavia, per coloro che sono stati assunti prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, ai quali si applica l’art. 18, il rimedio della reintegrazione persiste sia in assenza di giusta causa che di giustificato motivo soggettivo o oggettivo. La Suprema Corte, pertanto, tende a rimarcare che la riforma introdotta con il Job Act ha limitato il rimedio della tutela reale solo nei casi di licenziamento disciplinare, quando è dimostrato che il fatto oggetto di contestazione al lavoratore non è avvenuto. Per quanto riguardo i licenziamenti economici non vi è rimedio alternativo alla tutela indennitaria. Situazione diversa con l’art. 18, in quanto, anche successivamente alla riforma della L. 92/2012, il meccanismo della reintegrazione permane, seppur con alcune attenuazioni, in entrambi i casi di licenziamento disciplinare e licenziamento oggettivo, qualora si verifichi “l’insussistenza del fatto” alla base del recesso datoriale. La decisione della Corte di legittimità sul caso di specie si basa, d’altronde, proprio su questa differenziazione, ossia il non considerare equiparabili le due situazioni in termini di protezione, sia indennitaria che reale, poiché nel contesto del licenziamento durante il periodo di prova delle nuove risorse sorge inevitabilmente un problematica afferente “l’inquadramento del vizio da cui è affetto il recesso”, tema questo che ovviamente non si pone per i licenziamenti rientranti nell’ambito dell’art. 18, in cui la reintegrazione è ritenuta come rimedio applicabile in entrambe le fattispecie, giustificato motivo soggettivo e oggettivo.