La Corte d’Appello di Roma riduceva l’assegno di mantenimento posto a carico del marito sul presupposto di uno stato di disoccupazione non incolpevole dovuto alla condotta della moglie, non avendo quest’ultima provato in giudizio di essersi attivata per la ricerca di un’occupazione nonostante il titolo professionale di ortottista da lei posseduto.

La signora decide, pertanto, di adire la Corte di Cassazione esponendo, tra i vari motivi, il fatto che il giudice di secondo grado avesse ridotto l’assegno di mantenimento in misura inidonea a garantire la conservazione  del tenore di vita goduto dalla donna in costanza di matrimonio nonché addirittura un minimo assistenziale, dando erroneamente peso nella decisione ad una generica attitudine al lavoro della moglie, solo però in termini meramente ipotetici senza riscontrare, nel concreto, l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita.

La Suprema Corte, però, ha rigettato in toto il ricorso della donna. Nella pronuncia, infatti, si sottolinea che, in tema di separazione tra coniugi, il riconoscimento dell’assegno di mantenimento per mancanza di adeguati redditi propri previsto dall’art. 156 c.c., configurandosi come espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi a ciò che l’istante sia in grado, secondo il canone dell’“ordinaria diligenza”, di procurarsi da sè.

L’attitudine al lavoro dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, d’altronde, costituisce un elemento valutabile ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve tenere conto non solo dei redditi in denaro, ma anche di ogni capacità suscettibile di valutazione economica, a condizione che sussista un’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività retribuita: da ciò ne consegue che “tale principio non può essere amplificato fino al punto di ritenere che una concreta attitudine al lavoro, capace di trovare un positivo riscontro sul mercato, possa rimanere non sfruttata a causa dell’inerzia dello stesso richiedente l’assegno, con il risultato di addossare l’onere del suo mantenimento sul coniuge separato e occupato” (Cass. civ., sez. I, sent., 16 maggio 2017, n. 12196). 

Resterà, pertanto, a carico del coniuge richiedente l’assegno di mantenimento, ove risulti accertata concretamente la sua possibilità di ottenere un impiego, l’onere di dimostrare di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato occupazionale per mettere a frutto le proprie attitudini professionali.