In una recente controversia (su un tema molto comune nei contenziosi di diritto di famiglia sottoposti alla nostra attenzione), un Tribunale veniva adito da un padre per la modifica dell’assegno di mantenimento fissato in sede di divorzio a favore della figlia. Il padre adduceva a motivazione della propria richiesta l’inerzia della ragazza nel completamento degli studi universitari e nella ricerca di un’occupazione. Il Tribunale, in prima istanza, accoglieva la domanda riducendo della metà l’assegno, mentre in sede di appello la pronuncia veniva sostanzialmente ribaltata mettendo in evidenza le condizioni della figlia, che soffriva di una sindrome depressiva da quando aveva diciotto anni, condizione che influenzava il suo rendimento.

Giunti in Cassazione, il Collegio ha voluto precisare i contorni della fattispecie. Nello specifico, si è fatto riferimento alla stretta e necessaria correlazione tra diritto-dovere all’istruzione ed all’educazione del figlio ed il diritto al mantenimento: sussiste il diritto del figlio all’interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo che tenga conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, come è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione. La funzione educativa del mantenimento è, infatti, nozione idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per l’inserimento del figlio nella società (cfr. Cass. 18076/2014 e Cass. 12952/2016), in compatibilità con le condizioni economiche dei genitori (cfr. Cass. 10207/2019). Tale tempistica, però, non può prescindere dalla considerazione di un principio di auto-responsabilità della prole alla luce del quale risulta dunque esigibile “l’utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, in attesa dell’auspicato reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni; non potendo egli, di converso, pretendere che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto, in vece sua, il genitore” (cfr. Cass. 17183/2020).

Da quanto sopra, discende pertanto che l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è sempre a carico del richiedente. E’ il figlio che deve dunque provare non solo la “mancanza di indipendenza economica, ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro”. Tornando alla pronuncia in esame, la Suprema Corte conchiude sottolineando che non risulterebbe aderente ai principi richiamati ritenere sufficiente in tal senso la patologia depressiva della figlia dedotta in giudizio per giustificare l’atteggiamento inerziale oggetto di indagine, con tutte le conseguenze del caso in termini di riformulazione legittima al ribasso dell’importo dell’assegno di mantenimento.