Tale principio è stato recentemente chiarito dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 22616/2022 accogliendo il ricorso della moglie di un professionista la quale si lamentava del fatto che la quantificazione dell’assegno si era basata unicamente sui redditi effettivamente dichiarati dal marito, trascurando completamente il “nero” maturato dall’ex coniuge.

La Corte d’Appello aveva originariamente dato torto alla signora ritenendo le eventuali disponibilità di denaro derivanti da attività sottratte al fisco non considerabili ai fini della ricostruzione del tenore di vita familiare. Una lettura quest’ultima totalmente bocciata dalla Suprema Corte che invece ha dato ragione alla ricorrente, individuando una sorta di “sbarramento istruttorio” foriero di un mancato approfondimento degli accertamenti fiscali, impedendo così l’ingresso nel processo di elementi rilevanti ai fini della ricostruzione dell’effettivo tenore di vita della famiglia. E’ risultato, pertanto, fuorviante in tal senso il rigetto della richiesta di indagini della polizia tributaria sui redditi del marito.

Del resto, prosegue la Cassazione, alle parti è sempre richiesto un comportamento di “lealtà processuale particolarmente pregnante, che si manifesta con l’offerta degli elementi probatori utili a ricostruire le effettive condizioni economiche” e “giunge fino a richiedere a ciascuna di esse di fornire al giudice elementi di prova contrari al proprio personale interesse”: una prospettiva questa ripresa anche dalle legge delega per la riforma del processo civile (L. n. 106 del 2021) che espressamente stabilisce che, ove siano formulate domande di natura economica, il legislatore delegato dovrà prevedere che le parti debbano depositare le denunce dei redditi e la documentazione attestante le disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie degli ultimi tre anni, prevedendo anche sanzioni per il mancato o incompleto deposito. Dunque, se l’art. 5, co. 9, della Legge 898/1970 non può essere letto nel senso che il “potere” del giudice di disporre indagini di polizia tributaria debba essere considerato come un “dovere” imposto dalla semplice contestazione, in ogni caso se la parte offre elementi concreti e specifici a sostegno della richiesta di indagini della polizia tributaria, il giudice di merito non può rigettare tale richiesta e, nel contempo, rigettare anche le domande su di essa fondate.

Una soluzione diversa porterebbe proprio a quello “sbarramento istruttorio” lamentato dalla ricorrente, per effetto del quale, ritenute superflue le indagini della polizia tributaria, anche le domande fondate sull’esito di tali indagini vengono rigettate a causa della mancanza di prova degli assunti fondanti che, invece, avrebbero potuto essere confermati.