Il caso in esame ha visto il rigetto di un appello proposto dal marito della coppia avverso la sentenza del Tribunale che respingeva la sua domanda di condanna della moglie alla restituzione della somma di € 250.000,00 (a dire dell’appellante, infatti, la moglie aveva indebitamente prelevato il denaro dal conto corrente cointestato nonché indebitamente disposto di € 55.000,00 mediante assegno circolare emesso in proprio favore). Il Collegio, nel merito, ha motivato la propria decisione sul presupposto che il conto corrente fosse stato aperto congiuntamente dai coniugi per i bisogni della famiglia. In particolare, è risultato decisivo il fatto che alla formazione della provvista del conto cointestato non vi avesse contribuito esclusivamente il marito ma anche la moglie, prestando attività professionale in favore del marito, con l’accordo che il lavoro della moglie, anziché essere retribuito, potesse essere compensato con l’utilizzo del denaro sul conto corrente. Entrambi i giudici di merito, dunque, hanno ritenuto di dar specifico peso all’esecuzione degli obblighi di assistenza materiale di cui all’art. 143 c.c. e che le prove fornite dall’appellata circa la destinazione delle somme prelevate alle necessità familiari (e non, come sostenuto dal marito, ai propri esclusivi interessi) erano da ritenere credibili.

In tal senso, allora, è possibile affermare che il conto bancario cointestato ad entrambi i coniugi si presume, di base, di proprietà di entrambe le parti in poste identiche. Se detto conto, sebbene cointestato, è alimentato dai proventi di uno solo dei due cointestatari, allora sarebbe questo il caso in cui la presunzione di comproprietà potrebbe venire meno e le somme del conto sarebbero da considerarsi solo di chi le ha depositate. Solo in tale situazione, pertanto, se si scopre che l’altro soggetto ha “prosciugato” il conto corrente, l’effettivo proprietario potrà agire per la restituzione delle somme indebitamente prelevate. Nel caso di specie, però, il marito non è riuscito a superare detto onere probatorio, e la presunzione di comproprietà dei cointestatari non è stata vinta. La moglie, nonostante abbia effettuato dei significativi prelievi dal conto bancario, seppur in costanza di una relazione extraconiugale, non dovrà dunque restituire alcunché proprio perché aveva anch’essa contribuito al conto corrente, sebbene a livello meno importante, con le proprie attività professionali. Tale conclusione ovviamente lascia tanti dubbi. Sulla base, infatti, della tesi proposta dalla Suprema Corte, a qualsiasi cointestatario basterà provare di aver contribuito alla formazione del conto versandoci una determinata somma di denaro affinché scatti la presunzione di solidarietà e di comproprietà del denaro contenuto nel conto (lasciando tutto in capo all’altro coniuge l’onere probatorio del caso): è evidente, quindi, la discrasia del ragionamento in termini di proporzionalità dell’apporto dei due coniugi agli stessi bisogni della famiglia, equivoco questo che sarà certamente oggetto di ulteriori indagini e nuove pronunce che potrebbero di fatto, e con motivazioni altrettanto condivisibili, ribaltare l’intera visione sulla tematica.