Con sentenza n. 35481/2021, la Suprema Corte ha sancito la legittimità del provvedimento del Questore, che vieta l’accesso ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive, non solo con riferimento agli spettatori ma anche ai partecipanti ad una competizioni sportiva, purché il soggetto destinatario del provvedimento non eserciti professionalmente l’attività sportiva.

Il caso vedeva un uomo condannato alla pena accessoria del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, per avere violato un precedente Daspo di divieto di accedere a tutte le manifestazioni sportive calcistiche della FIGC, avendo partecipato, in qualità di giocatore, ad un incontro di calcio dilettantistico. Nella fattispecie, il provvedimento di Daspo non precludeva il diritto a praticare attività sportiva, ma si limitava a fissare il divieto di accedere, a qualunque titolo, ai luoghi in cui si svolgono le competizioni. Rilevato che le misure volte a prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive sono poste a tutela dell’ordine pubblico, le condotte di violenza tenute nel corso di dette manifestazioni da giocatori tesserati a federazioni sportive non possono essere assoggettabili solo a sanzioni specifiche (come ad esempio squalifiche), applicabili dai competenti organi della giustizia sportiva, ma anche ad ulteriori ed eventuali sanzioni di diversa natura giuridica (come nel caso del Daspo).

Di conseguenza, per tali ragioni, il provvedimento del Questore, quando si tratta di  competizione sportiva dilettantistica deve considerarsi legittimo. Nello specifico, infatti, il calciatore dilettante coinvolto non ricavava alcun tipo di retribuzione dallo svolgimento dell’attività sportiva.

Diverso, però, è il caso di quando l’attività sportiva è invece esercitata a livello professionale dal soggetto destinatario del fermo, ed in quanto tale retribuita: in tale circostanza, un ordine amministrativo non può privare un soggetto della propria attività lavorativa e di sostentamento.

Il Daspo non può, quindi, colpire il professionista nelle sue attività lavorative dalle quali ricava la retribuzione per le sue esigenze di vita e nelle quali esplica in pieno la propria personalità; d’altronde, una diversa interpretazione della norma, che limitasse lo svolgimento di attività sportiva per professionisti retribuiti, sarebbe palesemente in contrasto con gli artt. 1 e 35 della Costituzione.