Quanto sopra è quello che emerge da un’interessante pronuncia del TAR Lazio con sentenza n. 11047/2022. In particolare, nel caso di specie, un tesserato della federciclismo veniva squalificato per due anni in quanto risultato positivo a seguito di un controllo antidoping. Passati più di due anni dalla cessazione del periodo di squalifica, quest’ultimo richiedeva alla Federazione Ciclistica Italiana il proprio tesseramento come cicloamatore precisando la propria condizione di soggetto colpito da provvedimento di squalifica. Dopo aver inizialmente ricevuto la comunicazione di conferma del tesseramento, il soggetto riceveva però la revoca di tale tesseramento, avendo la Federazione riscontrato un errore nell’emissione della tessera che in alcun caso avrebbe potuto essere concessa a coloro che sono stati colpiti da provvedimenti disciplinari di durata superiore ai sei mesi; l’atleta, inoltre, riceveva una “comunicazione di conclusione indagini per intendimento di deferimento” emessa dalla Procura Federale della FCI nell’ambito del procedimento disciplinare con la quale veniva contestata la presentazione della richiesta di tesseramento – effettuata in assenza della condizione giuridica per inoltrare la domanda, con conseguente violazione del c.d. requisito etico – e la partecipazione a gare ciclistiche amatoriali con tessera sportiva non validata nonché l’atto di sospensione del tesseramento. Il ciclista adiva, così, tutti i gradi della giustizia sportiva senza successo. Proponeva, pertanto, ricorso al TAR del Lazio il quale, tuttavia, rigettava anche questo ricorso dichiarandolo inammissibile per difetto di giurisdizione. Secondo il Collegio, infatti, “i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.

Come è noto, infatti, è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo è disciplinata dal codice del processo amministrativo.

Nel caso di specie, però, le questioni proposte (e le violazioni ascritte) appartenevano all’ambito della materia tecnica: risultavano connotate da una chiara finalità disciplinare, avendo ad oggetto la salvaguardia dei principi e delle regole poste alla base dell’ordinamento sportivo, in quanto dirette ad individuare ed a colpire alcuni comportamenti rilevanti sul piano disciplinare (doping), precludendo ai soggetti interessati la partecipazione a determinate tipologie di competizioni. Il ricorrente, peraltro, si limitava a richiedere la disapplicazione delle disposizioni regolamentari impugnate, senza chiedere anche il risarcimento del danno, che avrebbe mutato la visione sull’intera vicenda.

In tale contesto, dunque, il TAR non ha potuto far altro che dichiarare il ricorso inammissibile sottolineando il suo difetto di giurisdizione in virtù dei principi sopra richiamati.