La vicenda processuale trae origine dall’irrogazione di una squalifica, da parte del Giudice Sportivo, di cinque giornate effettive di gara ad un calciatore di minore età all’interno di uno dei campionati gestiti dalla LND. La decisione del predetto giudice è stata, quindi, impugnata dai genitori del calciatore i quali hanno sostenuto l’eccessiva severità della sanzione irrogata dal Giudice Sportivo rispetto al comportamento posto in essere dal figlio, chiedendo, in tale contesto, la riduzione della squalifica a tre giornate o nella misura ritenuta più congrua ma comunque minore. Non occorre, sul punto, sottolineare oltremodo la frequenza di casistiche simili sottoposte alla nostra attenzione, anche afferenti campionati minori e non solo in ambito calcistico.

Tornando però al caso in esame, avendo riguardo ai documenti ufficiali di gara (ai quali deve attribuirsi il valore di piena prova ex art. 61, co. 1, C.G.S.) è risultato che “il calciatore in questione, a gioco fermo, nei pressi della linea laterale e a ridosso della recinzione del terreno di gioco, tratteneva e spingeva un calciatore avversario verso tale recinzione. Il calciatore espulso ritardava l’uscita dal terreno di gioco, poiché tentava di affrontare due volte i calciatori avversari e veniva allontanato dai propri compagni di squadra. Giunto davanti agli spogliatoi colpiva con calci le porte e si avvicinava alla recinzione per inveire contro la tifoseria ospite”. Riguardo a ciò, i genitori del calciatore hanno contestato tale ricostruzione, deducendo una versione dei fatti accaduti totalmente differente.

Chiamato, dunque, a decidere sul gravame, il Collegio, superando la predetta dicotomia, ha provveduto ad accogliere parzialmente il reclamo dei genitori del tesserato ma senza dar merito ad una o all’altra versione degli eventi, bensì ponendo l’accento sull’analisi dei fatti certi emersi. Infatti, la Corte, pur ritenendo gli accadimenti accertati come censurabili poiché integranti una condotta gravemente antisportiva (aggravata anche da fatti successivamente posti in essere dall’atleta), ha ritenuto che questi debbano comunque essere considerati come realizzatisi in un “contesto causale e temporale sostanzialmente unitario” e quindi “ascrivibili ad un unico comportamento continuato” (cfr., in relazione alla continuazione, SS.UU. 82/2019)”. Per tale ragione, la condotta addebitata al calciatore costituisce, in ogni caso, un’oggettiva continuazione dell’originario e primo comportamento, da valutarsi complessivamente con minor disvalore rispetto all’integrale condotta censurata. La conseguenza, dunque, è stata la riduzione della sanzione inflitta dal Giudice Sportivo.